“Il territorio pugliese risponde anche per l’economia in rosa”
Intervista di Radiocor Sole/24 Ore alla presidente della Camera di Commercio di Bari e di Unioncamere Puglia, Luciana Di Bisceglie
La Puglia è un territorio pieno di eccellenze, qual è la quota di imprenditrici e che tipo di trend si registra?
«La nostra regione conta più di 87mila imprese femminili al III trimestre 2024, secondo dati dell'Ufficio Studi di Unioncamere Puglia. Ѐ poi significativo che l'85% di queste imprese abbiano una presenza "esclusiva" di donne nel capitale sociale e nei ruoli di responsabilità. Si tratta insomma di imprese interamente in rosa, come proprietà e management, anche se poi vi lavorano uomini, oltre che altre donne. E' un bel segno. Anche la varietà dei settori è un dato incoraggiante: commercio, servizi alla persona (parrucchieri, estetisti, centri benessere), turismo, confezioni di abbigliamento e industria di trasformazione alimentare. Vi è anche un'altissima presenza di imprese in rosa nell'agricoltura e nell'edilizia, forse anche per dinamiche legate alla disponibilità di finanziamenti».
Ci sono dal suo punto di vista più difficoltà per l'imprenditoria femminile in Puglia rispetto alla media nazionale e se sì di che genere?
«In termini generali, le difficoltà che le donne incontrano nella vita lavorativa e imprenditoriale sono un problema di tutto il Paese. Non ne farei un fatto territoriale, ma forse antropologico. Ci sono però anche segnali positivi. Gliene racconto uno. Unioncamere Puglia ha di recente collaborato con la Sezione per l'Attuazione delle Politiche di Genere della Regione Puglia. Ci era stata commissionata la gestione di un Bando denominato "Un’Impresa alla Pari", una iniziativa-pilota per promuovere la Certificazione della Parità di Genere (UNI/PdR 125:2022). Ci aspettavamo quindi qualche decina di risposte, magari da parte delle imprese più sensibili del territorio al tema. Invece abbiamo dovuto chiudere la Misura dopo pochi giorni per esaurimento dei fondi. In meno di un mese sono arrivate 219 richieste, gli stessi numeri della Lombardia in un sesto del tempo. Un risultato francamente sbalorditivo. L’iniziativa è stata rifinanziata altre due volte dalla Regione e attualmente sono in corso le prime liquidazioni di aziende certificate. Continueremo anche nel 2025. Dobbiamo quindi uscire dalla narrazione autoflagellante: se le iniziative sono pensate bene, il territorio risponde. Anche in fatto di economia in rosa».
Quali interventi suggerisce alle istituzioni locali e nazionali per avere migliori risultati?
«Sul piano legislativo, la Regione Puglia ha un percorso interessante. Diciassette anni fa, con la Legge Regionale 7/2007 sono stati indicati i principi ispiratori dell’azione regionale per la gender equality. Dobbiamo continuare a lavorare insieme. Un primo tema è quello dei finanziamenti. Ottenere la Certificazione UNI/PdR 125:2022 non può essere soltanto una buona prassi o un tema da bilancio sociale, ma dovrebbe diventare vantaggioso per l'impresa. Si potrebbe fare concedendo in tutti i bandi e appalti regionali una premialità sostanziosa a chi sia in possesso della certificazione. Poi c'è da lavorare sulla comunicazione. Di recente Unioncamere Puglia ha candidato WISE, un progetto di Cooperazione Territoriale, assieme alla Regione Puglia ed enti albanesi e montenegrini. L'iniziativa intende valorizzare il patrimonio di storie di imprenditrici e poi trasformare questi contenuti in uno spettacolo teatrale e di un libro illustrato per bambini. Crediamo molto nel progetto, perché le vicende di "donne che fecero l'impresa" possono diventare ispirative. E scatenare l'imitazione».
Si trovano nelle imprese le competenze necessarie o c'è bisogno di formazione soprattutto per quanto riguarda le nuove tecnologie?
«Anche in questo caso il tema travalica i confini regionali e di genere. Abbiamo bisogno di più laureate e laureati, soprattutto in materie STEM. Ci serve potenziare il quinto livello EQF, gli ITS per intenderci, nella loro posizione eminentemente orientata al mercato. E direi anche che si può sposare anche quanto dichiarato da Giuseppe De Rita in una intervista alla Stampa di qualche giorno fa: il miracolo economico degli anni '60 in Italia ebbe come protagonisti non soltanto i ceti dirigenti, ma anche un tessuto connettivo fatto di geometri, periti industriali, ragionieri. Quindi, è la scuola il luogo che può fare il miracolo. Allo stesso tempo, chi sceglie l'università deve trovarsi di fronte ad un mondo interconnesso con i sistemi produttivi. Questo è uno scenario che riguarda tutti, donne e uomini. E' poi importante che le donne tornino a vedere il proprio futuro non solo come dipendenti, ma anche come consulenti o imprenditrici. Lo Stato si occupi di varare strumenti di conciliazione vita-lavoro, il resto lo farà il talento e la tenacia».
C'è anche bisogno di reskilling e se sì, in che quantità rispetto al totale nazionale?
«Oggi con l'intelligenza artificiale si può anche fare scrivere codice per un'app. Come possiamo pensare di vivere di ciò che sapevamo fare dieci anni prima? Il reskilling è quindi una costante di qualunque sistema evoluto, ancora una volta, senza distinzione di genere. La "formazione continua" è un percorso che deve accompagnare lavoratrici e lavoratori dall'inizio alla fine della loro attività. Anzi, perfino dalla fase in cui cercano lavoro a quella di invecchiamento attivo, post pensionamento. E' un fatto strategico. Ma su questo voglio dire una cosa in cui credo molto: il reskilling o comunque la pianificazione delle competenze necessarie in un territorio deve vedere protagoniste le imprese, dal basso. Significa ascolto attivo delle esigenze e progettazione condivisa delle competenze necessarie. Poi c'è il versante dei NEET, quelli che non lavorano, non studiano e non cercano lavoro. Su questa problematica i numeri di tutta l'Italia sono fra i peggiori d'Europa. Questa è diventata una vera emergenza nazionale, tanto più che in questa schiera ci sono tante donne».